mercoledì 21 maggio 2014

"Firenze Faenza 2010" - 100 km del Passatore... ci risiamo! - di Alessandra Ardau

30 maggio ore 03.30

Ci saranno almeno un centinaio di persone sdraiate nelle brandine da campo o direttamente sul pavimento, sopra i materassini. Molti sono addormentati ma la maggior parte è sveglia e chiacchiera a bassa voce con i vicini. Un uomo con addosso una tuta con lo stemma della croce rossa si aggira tra le brande e controlla le
persone addormentate. Ne scuote piano qualcuna, forse per sincerarsi che stia solo dormendo.
Chiudo gli occhi, vorrei riuscire a riposarmi per un paio d'ore ma i piedi mi fanno malissimo e poi sono troppo euforica per dormire.
Il mio vicino si rivolge a me con un sorriso.
-E' la prima volta?-
-Si-
-Com'è andata?-
-Benissimo!-

29 maggio ore 15.00

Partenza della 100 km del Passatore.
Sono emozionatissima. Felice di realizzare finalmente un sogno ma anche un po' preoccupata all'idea che qualcosa possa andar male costringendomi a fermarmi.
foto di Giorgio Piras.
Io con Teo e Giorgio
No, non è vero. L'ipotesi di fermarmi non l'ho mai neanche voluta prendere in considerazione anche se non sono tanto incosciente da non sapere che in una gara così lunga bisogna essere preparati a qualunque imprevisto.
Io e Teo ci incolliamo a Giorgio sin dai primi metri. Per lui è la settima volta e la tranquillità con cui affronta quest'impresa ci infonde coraggio.
A Fiesole abbiamo appuntamento con Antonello, mio marito, che mi accompagnerà in bici fino a Faenza.
Non ho nemmeno dovuto chiederglielo. Si è offerto volontario, forse nella speranza che, se mi fosse andata bene la prima, non ne avrei corso altre sacrificando ogni domenica per gli allenamenti oppure semplicemente perché è un santo.
Fa molto caldo ma non è spiacevole per la corsa. Mi preoccupa piuttosto l'escursione termica tra il pomeriggio e le ore notturne.
Quel sant'uomo di mio marito ci aspetta in sella a una bici da passeggio.
-Non dovevi noleggiare una mountain bike?- Gli chiedo
-Si ma le avevano finite, questa va bene per girare in città ma per seguirti è un po' scomoda. Per fortuna ha comunque il cambio marce- mi risponde imbronciato.
-Cerca di non staccarmi troppo – aggiunge scherzando.
Giorgio, Teo e io corriamo insieme per una quindicina di km ma comincio a dubitare che per me sia il caso di rallentare. Temo che se non mi stacco dai miei amici finirò per correre troppo veloce nella prima parte della gara.
Con la scusa di fermarmi per allentare il laccio di una scarpa li lascio andare.
Salita, discesa, ancora salita... le gambe tutto sommato vanno bene, i dolorini che si presentano, puntuali pochi giorni prima di una gara importante non mi infastidiscono più di tanto.
Giorgio, davanti a me si ferma a vomitare.
-Vai, in bocca al lupo-
Salita, salita, ancora salita... sempre più ripida. In alcuni, brevi tratti camminano quasi tutti e anch'io non sono da meno. A mano a mano che si sale di quota la temperatura diminuisce.
Muoio di freddo e non vedo l'ora di arrivare su al passo. Finalmente giungo al culmine.
Supero il ristoro e il controllo chip e mi dirigo alla tenda a ritirare il cambio. Entro nel panico: ho utilizzato una delle borse portaindumenti che danno alle maratone, una di quelle più comuni, bianca con la scritta enervit. Davanti a me ce ne sono a decine, tutte uguali, indistinguibili l'una dall'altra se non per il cartellino col numero di pettorale. Scarto le prime cinque. Una ragazza dell'organizzazione si mette a cercare con me. Il freddo intanto, a stare ferma, in canottiera bagnata di sudore mi fa battere i denti. Trovata! Vado a cambiarmi nella tenda spogliatoio e comincio a lottare per sciogliere il laccio della scarpa e sfilare il chip. Ho previsto infatti un cambio scarpe a metà gara perché, durante gli allenamenti, ho sofferto per una fascite plantare. Spero, così facendo, di ridurre i rischi di un riacutizzarsi dei sintomi dell'infiammazione. Lo stomaco, provato dal freddo e dalla fatica, comincia a contrarsi e avverto una spiacevole sensazione di nausea. Dopo aver indossato abbigliamento più pesante e aver inserito il chip nel laccio delle scarpe di ricambio decido quindi di tornare indietro al ristoro a cercare del the caldo. Guardo il cronometro. Sono passati ben 19 minuti dal mio arrivo! Mi rimprovero mentalmente per non essermi organizzata meglio e, di malumore, riprendo a correre.
La discesa verso Marradi è ripidissima, invoglia a "tirare" per recuperare il tempo perso. Devo costringermi a non accelerare troppo. Mi superano decine di atleti ma la prudenza mi porta a procedere con cautela. Comincia a far buio ma non voglio ancora accendere la lampada frontale. Questo tratto del percorso me lo sto davvero godendo: il paesaggio che si indovina nella penombra è veramente bello, il traffico che abbiamo incontrato nel tratto precedente si è finalmente diradato e io mi sento benissimo. Scomparsa la fatica della salita e il freddo, avvolta dal buio della notte, avverto le piacevoli sensazioni che si provano durante gli allenamenti quando corriamo per il solo gusto di correre, "a sensazione" senza preoccuparci di seguire una tabella o di guardare il cronometro. Mio marito mi sgrida perché teme che, se non accendo la lampada frontale almeno per rendermi più visibile, finirò per farmi investire. E' semiassiderato e dolorante alle mani a furia di frenare.
-Voglio un'altra salita, devo pedalare per potermi scaldare-
Mi rendo conto che seguire in bici una persona che corre il Passatore non è un'impresa facile. Non tanto per l'impegno fisico ma, soprattutto, perché le esigenze dell'accompagnatore vengono in secondo piano (vale a dire totalmente ignorate) rispetto a quelle di chi gareggia.
Riconosco un atleta che cammina davanti a me: Teo.
-Che succede?- gli domando preoccupata
-Ho un forte mal di schiena e sto morendo di freddo, anche lo stomaco mi da problemi-
Cerco di fargli coraggio
-Vedrai che dopo che ti avranno fatto un massaggio alla prossima tenda medica riuscirai a ripartire, non mollare!-
So quanto si è allenato per questa gara. Non considero l'ipotesi che possa ritirarsi.
Intanto la temperatura continua ad abbassarsi. Almeno ci siamo evitati l'acquazzone che avevano previsto per la notte: ha allagato Faenza nel pomeriggio ma adesso cadono solo poche gocce di pioggia. Sono comunque bagnata fradicia perché l'aria è satura di umidità e anche il mio stomaco inizia a ribellarsi. Sto mangiando pochissimo ai ristori perché la nausea non mi permette di approfittare delle delizie culinarie offerte dall'organizzazione che vanno dalla marmellata alle uova sode e panini con mortadella.
La crisi!
Puntuale, anzi anche un po' in anticipo rispetto al previsto (perché l'avevo comunque messa in conto), mi costringe a fermarmi a bordo strada devastata dai crampi allo stomaco. Mio marito è inerme e non sa come aiutarmi.
So cosa devo fare. Mi fermo, mi siedo in terra, succhio qualche sorso di gel di carboidrati, sperando che rimanga nello stomaco e aspetto cercando di non prendere troppo freddo. Dopo 10-15 minuti riprendo a camminare lentamente dopo aver indossato anche il Kwai che toglierò appena mi sarò scaldata di nuovo. Alterno per un po' il passo alla corsa.
Stabilisco poche e semplici regole da seguire prima di riprendere a correre: al primo accenno di nausea mi devo fermare o almeno camminare, non devo mangiare niente di solido ma sorseggiare gel ogni 10 km (vorrei averne portato di più) e bere solo thé.
A ogni sosta decido inoltre di sedermi e togliere le scarpe anche per pochi secondi per far riposare i piedi doloranti.
Riprendo a correre di buon passo (si fa per dire) trascinandomi di ristoro in ristoro.
Sono sempre meno lucida. A un certo punto confondo uno dei cartelli che indicano il limite di velocità con quelli del chilometraggio. Lo dico mio marito che è sempre più preoccupato.
Ci avviciniamo a Faenza.
Anto vorrebbe lasciarmi sola negli ultimi km per correre avanti, mollare la bici e farmi una foto. Non si fida: dice che sbando, barcollo, teme possa cadere o finire sotto un'auto.
Va bene vorrà dire che farò gli ultimi km fissando la striscia bianca a bordo strada per cercare di andare dritta.
Man mano che mi avvicino all'arrivo vengo sopraffatta dalle emozioni. Mi commuovo e quasi mi metto a piangere quando vedo il traguardo. Sono Stanchissima, ma ho ancora la forza per accelerare negli ultimi 300 metri. Un atleta, dietro di me mi segue nello sprint e accenna a superarmi ma, sgridato dal pubblico, mi si accoda dietro:
-Che fai! Non vorrai mica sprintare la ragazza!-
Continuo a correre ancora per qualche metro dopo il traguardo e mi fermo solo tra le braccia di un ragazzo che mi stringe la mano e mi mette al collo la medaglia.
-Complimenti! Sei stata bravissima.-
Mi giro indietro a cercare Antonello intirizzito e con gli occhi gonfi per il sonno e leggo dietro il suo sguardo l'orgoglio per un'impresa che abbiamo costruito insieme. Rispondo sottovoce -

"Grazie. Ci vediamo l'anno prossimo"


Foto: Ci risiamo:

"FIRENZE-FAENZA 2010"

30 maggio ore 03.30
Ci saranno almeno un centinaio di persone sdraiate nelle brandine da campo o direttamente sul pavimento, sopra i materassini. Molti sono addormentati ma la maggior parte è sveglia e chiacchiera a bassa voce con i vicini. Un uomo con addosso una tuta con lo stemma della croce rossa si aggira tra le brande e controlla le persone addormentate. Ne scuote piano qualcuna, forse per sincerarsi che stia solo dormendo.
Chiudo gli occhi, vorrei riuscire a riposarmi per un paio d'ore ma i piedi mi fanno malissimo e poi sono troppo euforica per dormire.
Il mio vicino si rivolge a me con un sorriso.
-E' la prima volta?-
-Si-
-Com'è andata?-
-Benissimo!-

29 maggio ore 15.00
Partenza della 100 km del Passatore.
Sono emozionatissima. Felice di realizzare finalmente un sogno ma anche un po' preoccupata all'idea che qualcosa possa andar male costringendomi a fermarmi.
No, non è vero. L'ipotesi di fermarmi non l'ho mai neanche voluta prendere in considerazione anche se non sono tanto incosciente da non sapere che in una gara così lunga bisogna essere preparati a qualunque imprevisto.
Io e Teo ci incolliamo a Giorgio sin dai primi metri. Per lui è la settima volta e la tranquillità con cui affronta quest'impresa ci infonde coraggio.
A Fiesole abbiamo appuntamento con Antonello, mio marito, che mi accompagnerà in bici fino a Faenza.
Non ho nemmeno dovuto chiederglielo. Si è offerto volontario, forse nella speranza che, se mi fosse andata bene la prima, non ne avrei corso altre sacrificando ogni domenica per gli allenamenti oppure semplicemente perché è un santo.
Fa molto caldo ma non è spiacevole per la corsa. Mi preoccupa piuttosto l'escursione termica tra il pomeriggio e le ore notturne.
Quel sant'uomo di mio marito ci aspetta in sella a una bici da passeggio.
-Non dovevi noleggiare una mountain bike?- Gli chiedo
-Si ma le avevano finite, questa va bene per girare in città ma per seguirti è un po' scomoda. Per fortuna ha comunque il cambio marce- mi risponde imbronciato.
-Cerca di non staccarmi troppo – aggiunge scherzando.
Giorgio, Teo e io corriamo insieme per una quindicina di km ma comincio a dubitare che per me sia il caso di rallentare. Temo che se non mi stacco dai miei amici finirò per correre troppo veloce nella prima parte della gara.
Con la scusa di fermarmi per allentare il laccio di una scarpa li lascio andare.
Salita, discesa, ancora salita... le gambe tutto sommato vanno bene, i dolorini che si presentano, puntuali pochi giorni prima di una gara importante non mi infastidiscono più di tanto.
Giorgio, davanti a me si ferma a vomitare.
-Vai, in bocca al lupo-
Salita, salita, ancora salita... sempre più ripida. In alcuni, brevi tratti camminano quasi tutti e anch'io non sono da meno. A mano a mano che si sale di quota la temperatura diminuisce.
Muoio di freddo e non vedo l'ora di arrivare su al passo. Finalmente giungo al culmine.
Supero il ristoro e il controllo chip e mi dirigo alla tenda a ritirare il cambio. Entro nel panico: ho utilizzato una delle borse portaindumenti che danno alle maratone, una di quelle più comuni, bianca con la scritta enervit. Davanti a me ce ne sono a decine, tutte uguali, indistinguibili l'una dall'altra se non per il cartellino col numero di pettorale. Scarto le prime cinque. Una ragazza dell'organizzazione si mette a cercare con me. Il freddo intanto, a stare ferma, in canottiera bagnata di sudore mi fa battere i denti. Trovata! Vado a cambiarmi nella tenda spogliatoio e comincio a lottare per sciogliere il laccio della scarpa e sfilare il chip. Ho previsto infatti un cambio scarpe a metà gara perché, durante gli allenamenti, ho sofferto per una fascite plantare. Spero, così facendo, di ridurre i rischi di un riacutizzarsi dei sintomi dell'infiammazione. Lo stomaco, provato dal freddo e dalla fatica, comincia a contrarsi e avverto una spiacevole sensazione di nausea. Dopo aver indossato abbigliamento più pesante e aver inserito il chip nel laccio delle scarpe di ricambio decido quindi di tornare indietro al ristoro a cercare del the caldo. Guardo il cronometro. Sono passati ben 19 minuti dal mio arrivo! Mi rimprovero mentalmente per non essermi organizzata meglio e, di malumore, riprendo a correre.
La discesa verso Marradi è ripidissima, invoglia a "tirare" per recuperare il tempo perso. Devo costringermi a non accelerare troppo. Mi superano decine di atleti ma la prudenza mi porta a procedere con cautela. Comincia a far buio ma non voglio ancora accendere la lampada frontale. Questo tratto del percorso me lo sto davvero godendo: il paesaggio che si indovina nella penombra è veramente bello, il traffico che abbiamo incontrato nel tratto precedente si è finalmente diradato e io mi sento benissimo. Scomparsa la fatica della salita e il freddo, avvolta dal buio della notte, avverto le piacevoli sensazioni che si provano durante gli allenamenti quando corriamo per il solo gusto di correre, "a sensazione" senza preoccuparci di seguire una tabella o di guardare il cronometro. Mio marito mi sgrida perché teme che, se non accendo la lampada frontale almeno per rendermi più visibile, finirò per farmi investire. E' semiassiderato e dolorante alle mani a furia di frenare.
-Voglio un'altra salita, devo pedalare per potermi scaldare-
Mi rendo conto che seguire in bici una persona che corre il Passatore non è un'impresa facile. Non tanto per l'impegno fisico ma, soprattutto, perché le esigenze dell'accompagnatore vengono in secondo piano (vale a dire totalmente ignorate) rispetto a quelle di chi gareggia.
Riconosco un atleta che cammina davanti a me: Teo.
-Che succede?- gli domando preoccupata
-Ho un forte mal di schiena e sto morendo di freddo, anche lo stomaco mi da problemi-
Cerco di fargli coraggio
-Vedrai che dopo che ti avranno fatto un massaggio alla prossima tenda medica riuscirai a ripartire, non mollare!-
So quanto si è allenato per questa gara. Non considero l'ipotesi che possa ritirarsi.
Intanto la temperatura continua ad abbassarsi. Almeno ci siamo evitati l'acquazzone che avevano previsto per la notte: ha allagato Faenza nel pomeriggio ma adesso cadono solo poche gocce di pioggia. Sono comunque bagnata fradicia perché l'aria è satura di umidità e anche il mio stomaco inizia a ribellarsi. Sto mangiando pochissimo ai ristori perché la nausea non mi permette di approfittare delle delizie culinarie offerte dall'organizzazione che vanno dalla marmellata alle uova sode e panini con mortadella.
La crisi!
Puntuale, anzi anche un po' in anticipo rispetto al previsto (perché l'avevo comunque messa in conto), mi costringe a fermarmi a bordo strada devastata dai crampi allo stomaco. Mio marito è inerme e non sa come aiutarmi.
So cosa devo fare. Mi fermo, mi siedo in terra, succhio qualche sorso di gel di carboidrati, sperando che rimanga nello stomaco e aspetto cercando di non prendere troppo freddo. Dopo 10-15 minuti riprendo a camminare lentamente dopo aver indossato anche il Kwai che toglierò appena mi sarò scaldata di nuovo. Alterno per un po' il passo alla corsa.
Stabilisco poche e semplici regole da seguire prima di riprendere a correre: al primo accenno di nausea mi devo fermare o almeno camminare, non devo mangiare niente di solido ma sorseggiare gel ogni 10 km (vorrei averne portato di più) e bere solo the.
A ogni sosta decido inoltre di sedermi e togliere le scarpe anche per pochi secondi per far riposare i piedi doloranti.
Riprendo a correre di buon passo (si fa per dire) trascinandomi di ristoro in ristoro.
Sono sempre meno lucida. A un certo punto confondo uno dei cartelli che indicano il limite di velocità con quelli del chilometraggio. Lo dico mio marito che è sempre più preoccupato.
Ci avviciniamo a Faenza.
Anto vorrebbe lasciarmi sola negli ultimi km per correre avanti, mollare la bici e farmi una foto. Non si fida: dice che sbando, barcollo, teme possa cadere o finire sotto un'auto.
Va bene vorrà dire che farò gli ultimi km fissando la striscia bianca a bordo strada per cercare di andare dritta.
Man mano che mi avvicino all'arrivo vengo sopraffatta dalle emozioni. Mi commuovo e quasi mi metto a piangere quando vedo il traguardo. Sono Stanchissima, ma ho ancora la forza per accelerare negli ultimi 300 metri. Un atleta, dietro di me mi segue nello sprint e accenna a superarmi ma, sgridato dal pubblico, mi si accoda dietro:
-Che fai! Non vorrai mica sprintare la ragazza!-
Continuo a correre ancora per qualche metro dopo il traguardo e mi fermo solo tra le braccia di un ragazzo che mi stringe la mano e mi mette al collo la medaglia.
-Complimenti! Sei stata bravissima.-
Mi giro indietro a cercare Antonello intirizzito e con gli occhi gonfi per il sonno e leggo dietro il suo sguardo l'orgoglio per un'impresa che abbiamo costruito insieme. Rispondo sottovoce
-Grazie. Ci vediamo l'anno prossimo.-"



Alessandra


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