martedì 11 dicembre 2012

Scuola Calcio


Oggi in programma? 
Boh! facciamo così: visto che ieri l’altro l'AVIS mi  ha salassato 450 cc di sangue a favore di chi ne ha più bisogno e ho fatto di tutto per recuperarlo abusando di Cannonau e porcetto, decido di non strapazzarmi ulteriormente e recuperare gamba e fiato con un rilassante fondo lento su tartan.
Destinazione Stadio comunale.
Non ho bisogno di riferimenti precisi come faccio di solito in pista. Vado in 6° corsia, senso opposto per poi ri-invertire la marcia al 6° km.
Giro su giro, come sempre, ho la mentre altrove. No mi preoccupa il crono, il passo i battiti. Scarico, solo dolce e rilassante scarico. In campo vedo i bambini della scuola calcio che si divertono un mondo ad inseguire quella palla.
Ricordo che da bambino andavo a scuola calcio da solo in bici. Il campo San Leone era una striscia di terra battuta incastonata nel centro abitato del mio paese. Spalti inesistenti. La partita potevi vederla dietro una reticella metallica e tre metri dietro un muro di blocchetti, muro di cinta delle case adiacenti. I più audaci salivano sul muretto per vedere la partita dall’alto. Lo spogliatoio assomigliava più ad un tugurio buio e fatiscente. Quattro mura rinzaffate alla meglio con un tetto in onduline d’amianto. Non era il massimo per la nostra salute ma trent’anni fa non lo sapevamo. L’organigramma societario era formato da un gruppo di persone appassionate di calcio e di sport. Lavoratori e padri di famiglia disponibili a sacrificare 6 ore alla settimana solo per vederci felici correre sul campo. Ricordo che mio padre ogni tanto, molto discretamente veniva a vedermi. Raramente scorgevo la sua presenza durante la partita. Lo scoprire che c'era, era per me un motivo in più per impegnarmi a fare il meglio sia durante l’allenamento che nel campionato esordienti. Spesso critico su alcune mie giocate, era solito complimentarsi con me più per l’impegno che per l’effettiva resa in campo. Vincemmo il nostro girone a punteggio pieno. Quella maglia, acquistata con i pochi soldi degli sponsor e il sacrificio dei dirigenti era un orgoglio indossarla. Avevamo solo quella e ce la tenevamo buona per la domenica mattina. L’attrezzatura ufficiale d’allenamento non sapevamo nemmeno cosa fosse. Avevamo giusto il borsone che con orgoglio mostravamo ad amici e parenti alla prima occasione. La squadra era “la squadra”. Rispetto per il mister. i pochi palloni li prendevamo dallo stanzino noi ragazzini e li riportavamo dentro sempre noi avendo cura di contarli a fine allenamento.  
Trent’anni fa il calcio era uno sport bellissimo.
Nel frattempo i bambini hanno finito l’allenamento e lasciano spazio ai ragazzini più grandi.
Durante il mio riscaldamento in pista mi giro e guardo verso lo spogliatoio. E’ una grossa struttura ben costruita e rifinita con docce calde, panche per cambiarsi e stanze con dentro tutta l’attrezzatura necessaria per gli allenamenti. Palloni, coni, ostacolini, pettìne, cinesini, barriere finte. Insomma di tutto. Un genitore di un bimbo che frequenta la scuola calcio esce da una stanza e, come un facchino trascina con una mano una sacca piena di palloni, con l’altra tiene una busta con delle pettìne alcuni ostacoli e dei paletti da slalom. Contemporaneamente, anzi qualcuno lo precede, i ragazzini che, facendosi i “cazzi loro” guardano il poveraccio (ma felice) per un attimo per poi ignorarlo e dedicarsi a “fancazzeggiare” verso il terreno di gioco. Qualcuno sfoggia delle megacuffie bianche con una b minuscola, roba da 300 euro a botta (e magari la musica la scaricano da torrent!).
Oggi amichevole con una squadra di un paese vicino. L’attrezzatura del facchino? Via indietro tra le risate dei ragazzini (ma tanto lui è felice così).
Il mister? Al cellulare durante tutto il riscaldamento prepartita. I ragazzi più che riscaldarsi si pigliano per culo e a pallonate a vicenda. Qualcuno, al mio passaggio mi osserva con la faccia della mucca che guarda il treno passare, stupito e interrogato sul motivo del mio correre. Qualcuno bisbiglia all’orecchio del compagno di squadra qualcosa mi guarda e sorride. Al mio passaggio cerca di seguire il mio passo. Quel fare ardito si spegne immediatamente in uno sguardo basso e rassegnato appena rallento e, senza parlare lo fisso dritto negli occhi.
Fischio d’inizio, chi arbitra? Ma il facchino naturalmente. Cazziato da un altro dirigente perché non si è portato il fischietto dietro, torna nello spogliatoio per recuperare il fischietto tra le risate generali.
Il mister diventa il protagonista
Il suo ego ritiene più importante scimmiottare Stramaccioni che scimmiotta Mouriṅo con l’abbigliamento, i gesti, le esultanze. Insomma una scimmia che scimmiotta una scimmia che scimmiotta un allenatore di calcio. La scena si commenta da sola.
Frasi a caso del tipo “chiudi”, “scala”, “copri”, “cambia gioco” (che alle fasi di gioco spesso confuse, vi assicuro non c’entravano nulla) sono il segno evidente che quello che lui recita è solo un copione. Dei ragazzi in campo e della loro “educazione sportiva” non gli frega niente.
A bordo campo sulla pista (quindi in mezzo ai coglioni) alcuni genitori che, in bella vista dei ragazzi chiacchierano distrattamente con alcuni dirigenti e, sempre in bella vista si alternano molto gentilmente nell'offrirsi a vicenda una sigaretta dietro l’altra. Ad ogni passaggio l’aroma inebriante delle Marlboro che si scannano non ha prezzo. Cerco ogni volta di passare quei 20 metri in apnea.
La discrezione dei genitori, necessaria per favorire la leadership del mister, non esiste proprio. Il loro interesse durante la partita e nell'ordine: inveire contro gli avversari, inviti vari ad entrare sulle gambe, inviti a cadere in area qualora cambiasse solo l’umidità o la pressione atmosferica, inveire contro il mister per effettuare cambio di modulo o sostituzioni.
Continuo il mio allenamento e sto chiudendo il nono km. Senza accorgermi in un turbinio di flashback della mia infanzia in mezzo al campo alternate alla vista di questa “pantomima sportiva” aumento il ritmo e infilo un 4:10 e 4:33 negli ultimi 2 Km.
Sono veramente incazzato.
I miei due bimbi frequentano anch'essi una scuola calcio ma in un altro paese ed affilata al Parma Calcio. 
Li sembra tutto diverso. Anche l’approccio e la leadership del mister è quella che ho conosciuto io da bambino. Il coordinatore degli allenatori ci ha chiesto gentilmente di non farci vedere dai bimbi durante l’allenamento. Anche osservando l’atteggiamento dei bimbi e dei ragazzini più grandi non mi sembra quello dei “fighetti con la b nelle orecchie” ma di quello ingenuo e divertito simile a quello di trent’anni fa.

Torno a casa e ripenso al tugurio, alla maglia piegata nel cassetto e pronta per la domenica, agli scarpini pieni di fango e agli stinchi viola e tumefatti dalle botte.  



Domani pomeriggio devo portare i bimbi all’allenamento. Li osserverò discretamente lontano dai loro vista.

Buone corse a tutti.



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