giovedì 11 aprile 2013

Sono Patrick, e mi piace correre - Di Lello Collu


Ciao  sono Patrick e mi piace correre.
La mia vita, fin da bambino è una corsa continua, tutti i miei amici d’infanzia correvano come me, ma io ero il più veloce. La scuola era distante 6 miglia dal villaggio e tutti i giorni, cartella in spalla attraversavamo la savana per arrivare prima della campanella, ed io ero sempre il primo.

Ricordo la mattina fresca e soleggiata, la mamma, bellissima con quel fazzoletto in testa colorato, aveva sempre un sorriso e ogni tanto anche uno scappellotto, ma era più bella del sole. Mio papà faceva il meccanico in città, andava a lavoro con una vecchia moto rumorosa.
Spesso la sera mi portava a fare un giro. Era divertentissimo. Quella moto era l’unica cosa più veloce di me nel villaggio.
Ricordo il nonno, vero guerriero Masai, passava le giornate a pascolare il bestiame e cantare vecchie canzoni. La sera ci raccontava tante storie di guerra e tribù, leoni, caccia, e feste nel villaggio. Non aveva carezze per nessuno, solo un sorriso simpatico e sdentato. Era l’ultima persona che salutavo la mattina mentre seduto, sempre col suo bastone, scrutava bestiame e orizzonte.
La scuola mi piaceva. Ero molto bravo soprattutto in matematica e scienze. Il nostro maestro ci prendeva a bacchettate nelle mani quando sbagliavamo qualcosa. Quante ne ho prese! Ma mai in matematica e scienze.



L’ora della ricreazione si passava a dar calci ad un pallone di stracci. Io facevo il portiere perché come calciatore ero una schiappa! Mi divertiva di più correre attorno alla scuola. Avevo il record di giri attorno alla scuola durante la ricreazione. 27 giri!! Nessuno mi ha mai battuto per tutto l’anno scolastico.
Solo il mio maestro era più veloce di me. Lui aveva fatto tante maratone
in giro per il mondo, qualcuna l’ha pure vinta e ogni tanto ci faceva vedere le sue medaglie e tante foto. Spesso pero, nelle maratone importanti faceva la lepre per quelli più forti di lui. Raccontava spesso che al 32 km doveva rallentare per dare spazio al suo compagno. Spesso pero rallentava giusto il tempo per farlo passare e farsi dare 10 metri. Non è mai arrivato al traguardo stremato dalla fatica. A lui andava bene così perché con quelle gare e gli ingaggi si è pagato gli studi fino alla laurea.

Un giorno venne a scuola un signore biondo e ben vestito. Conosceva bene il mio maestro. Al suo arrivo in classe si abbracciarono e chiacchierarono un po’. Spesso quel signore mi guardava mentre il maestro gli diceva tante cose.
Alla fine della lezione il maestro mi presentò quel suo amico. Si chiamava Patrick come me e veniva dall’Irlanda. Parlava molto bene inglese. Parlava pure l’italiano poiché aveva studiato e lavorato a Roma e Rieti. Entrambi mi dissero che mi avrebbero accompagnato a casa con la Jeep del maestro. Quel giorno arrivò per primo mio cugino Geteye. L’unica volta.
All’arrivo a casa vidi dalla jeep mio nonno mentre riportava il bestiame al villaggio. Sempre col suo sorriso simpatico e sdentato mi salutò con un cenno della mano. Arrivai a casa e trovai mia madre fuori dalla porta. Si sforzava di sorridere ma notai subito che aveva appena pianto. Mio padre arrivo di li a qualche minuto, sentì il rumore della moto. Era strano perché di solto arrivava a casa solo poco prima l’imbrunire.
Ci sedemmo tutti attorno al tavolo. Di solito arrivavo a casa affamato come un leone ma , la faccia della mamma e quel rincasare anticipato del papà mi aveva chiuso lo stomaco.
Parlo per primo il signor Patrick. Mamma e Papà lo conoscevano già. Con la mamma ci aveva già parlato la mattina e con il papa la sera prima mentre io ero già a letto.
Alla fine capì tutto. Non sapevo se ridere o piangere. Guardavo mamma con il viso solcato dalle lacrime, mio padre preoccupato ma fiducioso. Il mio maestro entusiasta, il nonno non so ma ricordo che mi diceva sempre di inseguire un sogno e di inseguirlo con pazienza e determinazione, con la stessa pazienza e determinazione  del leone e del ghepardo quando cacciano la gazzella.
Guardai il mio maestro decisi d’impeto. Si! Voglio andare in Europa e in America per diventare un maratoneta!
Dopo quel volo in aereo tutto cambiò radicalmente. Arrivai in Italia.
La giornata era scandita da studio, lavoro e allenamento. Non dovevo più correre per andare a scuola.
Le scuole, dalle medie all’università erano vicino alla pista in tartan, ottima per gli allenamenti anche se io preferivo correre nelle strade sterrate e polverose. Gli allenamenti erano duri ma mi veniva tutto facile. Mi piaceva primeggiare. Anche a scuola andavo bene mi piaceva studiare non solo matematica e scienze ma anche la storia e la letteratura italiana
Prima lepre poi stella di prima grandezza giravo il mondo e vincevo quasi tutte le gare minori. Quelle vittorie e quei piazzamenti, uniti agli ingaggi mi permisero di laurearmi in ingegneria e di insegnante ISEF.
Saltai per ben 2 volte le olimpiadi a causa di un brutto infortunio. Quel periodo lo ricordo con enorme dispiacere anche se sicuramente non andai via dal mio villaggio per quello.
Almeno 2 volte l’anno tornavo in Kenya per trovare i miei genitori e i miei fratelli. Ero riuscito a comprargli una casa nuova in città. Loro volevano trasferirsi da me in Italia ma io feci di tutto perché rimanessero in Kenya.

Casa nuova, la mamma sempre bella nonostante l’età e sempre con quel suo bel fazzoletto nuovo in testa tutto colorato. Papa riuscì ad aprirsi una officina tutta sua in città. Tanto lavoro ma lui era felice. La moto era sempre la stessa anche se più lucida e meno rumorosa. A volte, nei pochi giorni di permanenza dai miei passavo un po’ di tempo a girare con quella moto rubando del tempo ai noiosissimi allenamenti messi in tabella dal coach anche quando ero in vacanza. Le ripetute in salita con quella motoretta erano una cosa bellissima! Il nonno morì mentre ero in ritiro in negli Stati Uniti per una grossa competizione. Ricordo che, ricevuta la telefonata di mia madre, saltai l’allenamento della mattina e mi misi a piangere, chiuso in albergo per almeno mezz’ora. La settimana successiva dedicai la vittoria dei 10.000 al sorriso divertente e sdentato del grande guerriero Masai.
Il mio maestro, fa sempre il maestro a 6 miglia dal villaggio ed è sempre contento di farlo. Con una mano la bacchetta e con un occhio a scrutare i bimbi che fanno il giro della scuola di corsa. Dice che, ancora nessuno ha superato il record dei 27 giri.
Mio cugino Geteye si è trasferito in Germania. Anche lui si è laureato e, tra una gara e l’altra, insegna i bambini a correre.
Spesso ci sentiamo al telefono. Lui è felice li e con i soldi del lavoro e delle gare ha trasferito e sistemato tutta la famiglia.
Io no. “L’Italia, l’Europa e l’America mi hanno dato tanto ma sono figlio di mamma Africa e nipote di un grande guerriero Masai e voglio tornare li dove son nato”
Ora sono un bravo insegnante in un liceo a Nairobi, ho sposato una bellissima donna che fa il medico e ho 3 bellissimi bambini. Insegno matematica, Inglese ed educazione motoria. Ora la mia vita è scandita dal lavoro la famiglia e gli allenamenti dei miei ragazzi.
Appena ho un attimo di tempo libero torno al mio villaggio e mi faccio quelle sei miglia di corsa.
La casa dei miei è ancora li anche se ora ci abita un mio cugino. Anche il grande guerriero Masai e ancora li. Dal cielo e senza bastone, scruta il bestiame e l’orizzonte sempre col suo sorriso divertente e sdentato.
Lo saluto e comincio a correre.
Quando percorro quel tratto vado sempre a 6 minuti al km. Voglio godermi tutto il tragitto.
Mi volto in dietro e vedo Geteye che, ansimante tenta di riprendermi, ora ce la fa perché voglio andar lento. Arrivo alla scuola e mi faccio almeno 2 – 3 giri attorno per poi ritornare al villaggio questa volta un po’ più veloce, con ancora la cartella in spalla e quel sorriso da bambino.
perché sono Patrick, e mi piace correre.

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